Falò non solstiziali

San Giuseppe, Pontetto di Montecrestese

Non tutti i falò che ardono in Ossola possono rientrare nella categoria dei fuochi solstiziali. Se, oltre al periodo di accensione, consideriamo la presenza di questua, fantocci o ciabre possiamo trovare anche altri fuochi interessanti e degni di analisi nel Vco.

Il primo di cui propongo l’analisi è il falò di san Giuseppe a Montecrestese, oggi non più attivo, che presenta molte caratteristiche in comune con i precedenti casi analizzati. L’evento festivo era il culmine di una serie di celebrazioni, nella maggior parte dei casi liturgiche, che si svolgevano nel periodo di marzo, e si inserisce a pieno titolo nella classificazione dei falò solstiziali (Cfr Lajoux, 2006). 

Il fuoco veniva acceso, tradizionalmente, il sabato più prossimo al 19 marzo, al termine di un ciclo di preghiere definite “Novena ‘d san Giusep”. Il nucleo centrale delle celebrazioni si svolgeva nel sagrato antistante l’oratorio di san Giuseppe, un tempo oratorio della sola frazione Pontetto, ma che, negli ultimi decenni, è diventato sussidiario della  chiesa Parrocchiale. Secondo lo storico Tullio Bertamini, nell’oratorio «vi si celebra la S. Messa tutte le Domeniche e le feste di precetto a vantaggio delle numerose frazioni circostanti e specialmente degli abitanti del piano in cui ormai si addensano molte nuove abitazioni moderne» (Bertamini, 1990, p. 376).

L’evento festivo segue, seppur con attori meno “strutturati”, ovvero con caratteristiche rituali meno definite, la prassi del falò della Carcavegia precedentemente analizzato. Anche in questo caso erano generalmente i giovani della frazione, maschi e femmine, che si occupavano del reperimento della legna, in una sorta di questua che durava per diversi giorni tra le famiglie. La chiesa veniva quindi addobbata con fiori, soprattutto mimose, e si iniziava, contestualmente alla novena, ad allestire il falò. Questo veniva acceso sabato sera, al termine della funzione religiosa, e venivano organizzati, dai giovani della frazione, una serie di giochi popolari e danze. La festa continuava poi il giorno seguente, nel pomeriggio, con il tradizionale incanto delle offerte per reperire fondi per la parrocchia. San Giuseppe, nell’immaginario collettivo dei frazionisti, rappresentava anche la data che faceva da marca per il cambio del guardaroba (cfr Ciurleo, 2005, p. 68).

Da ormai una ventina d’anni il falò non viene però più acceso, a causa di alcuni regolamenti comunali e regionali che non permettono l’accensione di fuochi in prossimità dei centri abitati. Il divieto ha portato ad un progressivo depauperamento dell’evento festivo, che, oggigiorno, si limita ad una festività religiosa, sebbene un neonato gruppo di frazionisti, che ha creato un piccolo museo, stia lavorando per riportare in auge la festa, creando due diverse manifestazioni per rivitalizzare il centro storico: a marzo per san Giuseppe e ad ottobre, con la castagnata.

 

Vagna di Domodossola

Un altro falò particolarmente interessante è quello che si svolge a Domodossola, in frazione Vagna, la seconda domenica di luglio (anche se in alcuni casi è stato acceso a novembre). L’evento si inserisce nel contesto della festa patronale in onore di san Brizio, in una serie di manifestazioni religiose che si svolgono tra il sabato e la domenica. Il falò risulta privo di azioni rituali codificate: non è attestata alcuna forma di questua della legna, e nemmeno, dalle interviste condotte, risultano esserci determinate categorie sociali deputate alla sua accensione. Il fuoco, che viene acceso solitamente verso le 20,30, ha la durata di circa 30 minuti, a seconda del tipo di legna combustibile utilizzata. L’origine di questo falò può essere ricondotta all’iconografia della statua del santo conservata in parrocchia, che ha come attributo un fuoco, tenuto nella mano sinistra. Proprio sull’iconografia del fuoco, questo risulta essere un attributo esclusivo di sant’Agnese o di sant’Antonio abate. 

Il momento più importante della festività è invece la processione della domenica pomeriggio, in cui la statua del patrono viene portata attorno alla chiesa. In origine il percorso era più lungo, si snodava verso il ponte che un tempo faceva da confine con il comune di Domodossola, per poi fare tappa ad alcune cappellette. Ancora oggi, come un tempo, la statua del santo viene portata in processione dai membri della confraternita, che indossano un costume rosso con cordone legato alla vita. Questa confraternita, con il passare del tempo, ha progressivamente perso di importanza, arrivando a coincidere con il gruppo di volontari che organizzano la festa.

L’aspetto più interessante di questo evento, che lo accomuna con la Carcavegia, è la funzione di richiamo analoga ai campanacci dei giovani precedentemente analizzati, che assumono le campane della chiesa. Queste vengono suonate ripetutamente per annunciare i momenti più importanti della festa: l’uscita del santo dalla sua teca e la sua sistemazione sul baldacchino professionale (sabato pomeriggio); l’accensione del falò (sabato sera); accompagnano la processione del santo attorno ala chiesa (domenica pomeriggio) ed avvisano i frazionisti che a statua del santo è stata risistemata all’interno della sua teca in parrocchia (domenica sera). 

In teoria potremmo trovarci di fronte, anche in questo caso, ad un falò solstiziale invernale traslato in altra data. Secondo alcuni studiosi, infatti, l’origine del Natale estivo di Vagna (che si festeggia la seconda domenica di luglio) sarebbe una traslazione della festa del 1° gennaio dedicata al Santissimo nome di Gesù. La festa, ora diventata mariana, venne così spostata dalla confraternita che l’organizzava in altra data, mantenendo la stessa liturgia