Il bisogno di movimento
Il nostro cervello è fisicamente strutturato per il movimento. Come si può notare dall’evoluzione umana, il nostro “cammino evolutivo” è costellato di tappe molto importanti, dal conferimento della stazione eretta che ha liberato la mano dalla funzione di deambulazione, all’apprendere la cosiddetta “presa di precisione”. Facciamo un piccolo gioco: temiamo la mano aperta e tocchiamo il pollice prima con indice, poi medio, anulare ed infine mignolo. Un gioco da bambino - apparentemente -, ma pensate che per fare questo ci sono voluti millenni di evoluzione. Da quando Homo sapiens ha imparato a fare questo alla costruzione dello Space shuttle, nella scala del tempo, è stato tutto in discesa!
Questo nostro bisogno di movimento è testimoniato dal nomadismo originario: fin dalla comparsa del genere Homo, infatti, eravamo esseri che si spostavano, ad esempio per cacciare. Fu proprio l’avvento dell’agricoltura, 12 mila anni fa, a renderci stanziali. Ma, naturalmente, il renderci stanziali, non ha modificato il nostro cervello, che continua a ragionare in un modo di semplificazione estrema degli infiniti stimoli che quotidianamente riceve. Siamo animali sociali, con gli occhi sulla parte frontale del nostro viso, geneticamente predisposti a riconoscere altri esseri umani, in particolare per riprendere i visi. Quante volte ci è infatti capitato di vedere in una nuvola, o in un albero, o in una macchia di umidità apparsa su un muro un viso umano?
Il nostro “bisogno di movimento” è quindi radicato in noi. D’altra parte fatti non fummo «a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». E, naturalmente, il seguire, implica un movimento.
Se poi guardiamo le nostre “antropologie spontanee”, ovvero come varie etnie pongono il diverso in un rapporto di superiorità o inferiorità con la propria, pongono le culture in una ipotetica scala evolutiva basata sulla “civilizzazione”. Quante volte ci è capitato - in maniera molto poco politically correct - di considerare alcune civiltà contemporanee “arretrate” ed altre particolarmente “evolute”? Da una parte alcune tribù africane o mesoamericane, dall’altra i paesi nordici o gli Usa.
Questa concezione evoluzionistica ha contagiato anche il mondo del lavoro, che ha posto, in una sorta di scala evolutiva, i vari settori, creando le categorie del primario, secondario e terziario.
Da zero a tre (o forse a quattro?)
L’evoluzione del lavoro ha segnato profondamente l’evoluzione dell’uomo. 12mila anni fa, infatti, ci fu la rivoluzione agricola. Siamo alla fine dell’ultima glaciazione, quando qualche gruppo umano inizia ad organizzarsi per produrre il cibo, selezionando e soprattutto “guidando” la crescita di determinati vegetali. Il campo, naturalmente, andava curato, andava fatto il raccolto, controllata la buona crescita del prodotto. Questo fu il passaggio che ci rese stanziali.
Ma da quando il Sapiens fece la sua comparsa, indicativamente 300mila anni fa, fino alla scoperta dell’agricoltura, 12mila anni fa, ne è passato del tempo! Per circa 288mila anni, secolo più secolo meno, l’uomo fu nomade. Quindi, ancor prima del settore primario, quello agricolo, dovremmo parlare di un settore “zerario”, in cui si viveva di caccia e raccolta, in un nomadismo continuo.
Il renderci stanziali ha creato una evoluzione molto intrigante del mondo del lavoro, che ha modificato la “location” del lavoro e soprattutto la concezione del tempo.
Nel settore primario, quello dell’agricoltura, il luogo di lavoro era il campo, e la concezione del tempo era fortemente imprecisa. Quanto durava una giornata di lavoro? D’inverno con il campo ghiacciato magari anche pochi minuti, ma di certo nei momenti della frenesia del raccolto o della macellazione del maiale, si poteva lavorare per anche 15-16 ore… Un acquazzone improvviso infatti potrebbe rovinare il raccolto completamente, vanificando gli sforzi di un intero anno di lavoro.
L’avvento dell’industria, con la rivoluzione annessa, ha cambiato ulteriormente il nostro modo di vivere. Il luogo di lavoro diventa la fabbrica, con i suoi macchinari, la sua meccanizzazione che, come abbiamo visto nella narrativa pop (da Metropolis di Fritz Lang a Tempi moderni di Charlie Chaplin), spersonalizza l’uomo. Anche il concetto di tempo cambia nettamente: non importa la stagione, a scandire il tempo del lavoro non è più il canto del gallo, ma la sirena della fabbrica. Il tempo è definito negli orari della fabbrica, suddiviso sui tre turni a coprire le 24 ore.
Un’ulteriore rivoluzione è la nascita del settore terziario, il settore dei servizi. Anche in questo caso il tempo è parcellizzato, ed il luogo di lavoro diventa l’ufficio. I colletti bianchi sono, per alcuni, l’apice del modello dell’evoluzione del lavoro, la professione a cui tendere, l’ultimo step “evolutivo”. Lo dicono anche le canzoni di protesta: «oggi l’operaio vuole il figlio dottore, pensi che ambiente ne può venir fuori, non c’è più morale, contessa!».
Oggi il mondo del lavoro è cambiato: la crisi delle fabbriche e del mondo del lavoro odierno, in particolar modo la situazione italiana, hanno reso la tripartizione abbastanza limitativa, e si potrebbe arrivare a teorizzare un settore “quaternario”, la zainocrazia appunto.
Dalla buro- allo zaino -crazia
L’uomo moderno si basava su assoluti, l’uomo contemporaneo no. Il modernismo è morto, anzi è crollato, e l’uomo di oggi sta vivendo una crisi postmoderna. Secondo Grimaldi, infatti, a partire dagli anni ’50 e ’60, un vero e proprio “ventennio nero per le tradizioni”, c’è stata la crisi delle certezze millenarie che la tradizione aveva cementato e reso stabile l’uomo. Con la migrazione verso le città è crollata la co-residenza, il senso del paese, è entrata in crisi la co-discendenza, il senso della famiglia, ed anche la co-trascendenza, ovvero le tradizioni religiose, sono entrate in una fase di declino terribile.
Sono bastati 20 anni per rendersi conto che, forse, tutte le tradizioni, non erano da buttare a mare. Negli anni ’70, infatti, ci si è resi conto che la parcellizzazione del lavoro, i tempi frenetici della città erano un malessere per le persone, creando un vero e proprio pendolarismo tra città e campagna. «Io sto in città, son come una formica nella folla dell’umanità, che corre qua e là, a gran velocità con l’orologio che va che va che va. Felicità non sei in città, viva la campagna, viva la campagna! La civiltà, è bella ma, viva la campagna che mi dà: un arcobaleno sereno, l’odore del fieno, il canto corale di mille cicale, un bianco puledro, il fiore del cedro, le stelle più grandi nel ciel».
Il fenomeno della globalizzazione arriva ad ingarbugliare ulteriormente il senso di spaesamento dell’uomo contemporaneo. Una globalizzazione che, come insegna Apparudaj, non è tanto un vento di civiltà che ci porterà ad essere tutti “americani made in Usa”, ma un insieme molto più complesso di flussi che si intersecano e si influenzano vicendevolmente. Viviamo in una società liquida, secondo Bauman, ed anche il lavoro si è liquefatto…
L’etno-scape ed il tecno-scape, ovvero i flussi di persone e quelli della tecnologia, hanno modificato non poco il mondo contemporaneo. Internet e le telecomunicazioni permettono di interagire in tempo reale a costo quasi nulla con persone dall’altro capo del mondo (e per fare questo la Swatch creò, a ridosso del 2000 un “Internet time”, un tempo universale per permettere di andare oltre i fusi orari. Si tratta di una divisione delle 24 ore in 1000 .beats, della durata di 1’26,4”. L’idea naufragò in poco tempo e gli Swatch Internet beat sono rimasti come oggetti da collezione). A questo aggiungiamo la velocità dei trasporti e la progressiva miniaturizzazione della tecnologia. Nel giro di pochi decenni si è infatti passati da costosi ed ingombranti calcolatori che occupavano intere stanze ai personal computer agli smartphone.
l’11 settembre 2001 ha dato un ulteriore durissimo colpo al crollo della modernità, a cui aggiungiamo la crisi economica mondiale del 2008, al pari probabilmente della grande depressione con il crollo di Wall street. Ma sempre nel 2008 c’è stata un’altra “catastrofe”, un evento purtroppo passato in secondo piano per molti, ma che ha rappresentato un punto di svolta per la storia umana. Per la prima volta da circa 300mila anni di comparsa dell’Homo sapiens gli abitanti della città superano gli abitanti delle campagne.
Siamo storicamente quindi entrati in un qualcosa di diverso, di non ben definibile, che ha fatto collassare il sistema economico e sociale, che quindi necessità di un “riavvio”.
Ed il mondo del lavoro subisce i cambiamenti maggiori: si cercano professionalizzazioni e specializzazioni sempre maggiori, mentre, nel contempo, sparisce l’andare a bottega. Le produzioni vengono meccanizzate all’estremo, ma allo stesso punto anche il minimo intervento umano o un richiamo al mondo tradizionale divengono valore aggiunto, che ne giustifica psicologicamente un esborso economico maggiore. Dei biscotti “tradizionali” con il packaging color crema ed il richiamo ad edifici rurali, giustificano una spesa maggiore rispetto agli analoghi biscotti prodotti dalla stessa ditta ma marchiati dalla grande distribuzione di turno…
Il lavoro industriale, FCA insegna, si delocalizza, si trasferisce. L’Ossola ha avuto un periodo di profonda crisi - mai risolta - con la chiusura delle fabbriche. Ma allo stesso tempo, grazie al telelavoro, il lavoro “intellettuale”, quello burocratico perde la sua location, l’ufficio.
Il www permette, con un buon grado di sicurezza, di lavorare a distanza, riducendo la “strumentazione” necessaria. I computer sono sempre più piccoli, gli smartphone o i modem sono sempre più portatili, le marche da bollo sono diventate virtuali, le raccomandate si possono mandare tranquillamente tramite PEC… Quanti di noi hanno nel proprio smartphone una app di home banking? E quanto questa ha modificato i rapporti con la propria banca? Chi si reca più in banca, in un periodo in cui quasi tutto può essere fatto da casa o al limite dai bancomat evoluti? L’ufficio non serve quindi più: nella maggior parte dei casi l’occorrente per lavorare può stare tranquillamente in uno zaino. Ecco quindi nascere la zainocrazia, la risposta “liquida” al nostro mondo del lavoro!
Zainocrati d’assalto
Ma chi può effettivamente definirsi zainocrate? Chi può lavorare senza problemi portandosi tutto il materiale direttamente e comodamente in uno zainetto? Di sicuro il giornalista. Basta un tablet (o anche un phablet, magari con una tastiera esterna) per poter scrivere un pezzo. Ed i moderni telefonini possono validamente surrogare macchine fotografiche e persino videocamere.
Se poi aggiungiamo la possibilità di avere archivi e programmi sul cloud, accessibili dovunque, il gioco è fatto…
Forse i primi “zainocrati”, quelli più noti, sono stati gli scrittori ed i blogger, che, nell’immaginario pop, siamo abituati a vedere scrivere comodamente seduti ad una caffetteria, magari da Strabuck.
Anche i fotografi possono essere ottimi “zainocrati”. Macchine fotografiche sempre più leggere, mirrorless, obiettivi intercambiabili, schede dalla memoria infinita. E la stampa, per chi la vuole, può essere fatta seduta stante grazie a stampanti a sublimazione minuscole e senza fili. Altrimenti si può mandare tutto ai servizi di stampa sul web.
Paradossalmente anche alcuni oggetti molto particolari possono essere costruii dalle stampanti 3d, sempre più piccole, efficienti e soprattutto economiche.
Che dire poi della piccola grande rivoluzione anche nel modello dell’insegnamento? I docenti, che fino a pochi anni fa, dovevano portarsi dietro chili di libri e barcamenarsi tra svariati registri cartacei, oggi possono fare tutto in maniera immateriale, grazie ai registri elettronici. Con i genitori che possono vedere in tempo reale le assenze dei propri figli. A questo aggiungiamo gli e-book, o le innovazioni nella didattica frontale portate dalle Lim.
Conclusione: da zero a quattro!
La zainocrazia, come visto brevemente, è un fenomeno nuovo, e che certamente cambierà il nostro rapporto con il mondo del lavoro. Le fabbriche hanno chiuso, gli uffici oggi sono (quasi) inutili. Il lavoro unico ed il posto fisso è un miraggio: oggigiorno la normalità è avere a che fare con giovani “multiworking”, che spaziano tra diversi lavori e collaborazioni che si sovrappongono. Io stesso, in pochi anni, ho cambiato svariati lavori, facendone più di quanti ne abbaino mai fatti i miei genitori ed i miei nonni in tutta la loro vita. In un contesto così precario - ma non sempre la precarietà è un aspetto negativo -, si ritorna ad un “nomadismo”, di cui lo zaino è eponimo. La valigia pesa, deve essere imbarcata negli aerei. Lo zaino no, entra nel bagaglio a mano, fa parte di noi stessi. Quante volte abbiamo assistito a scene raccapriccianti in occasione dei voli low cost dove gli ultimi imbarcati sono costretti, a causa di mancanza di spazio nelle cappelliere, a mettere in stiva il loro bagaglio a mano? Scene strazianti, descritte da Zerocalcare nel suo blog, dove i poveretti si vedono costretti ad abbandonare lo zaino piangendo come fosse un bambino…
Ricapitolando, il mondo del lavoro è diventato molto complesso, oggi viviamo in un settore “quaternario”, dove il luogo di lavoro ha perso di importanza: posso lavorare in treno, a casa, al bar, prendere appuntamenti in caffetteria, scrivere un libro senza nemmeno avere una memoria fisica tipo chiavetta (mi basta un accesso ad Internet), accedere ad un database infinito di informazioni, dormire fino a mezzogiorno e lavorare di notte o quando voglio. Un settore dove si mettono in campo la capacità di innovazione, potenzialmente si valorizzano le attitudini di ognuno.
Un settore che modifica la nostra concezione di lavoro, alterandone irrimediabilmente la concezione di “hic et nunc”. Un settore, quello quaternario, che si sta sviluppando sempre più, diventando preponderante.
Bibliografia essenziale:
Appadurai, Arjun
1996 - Modernity at large. Cultural dimension of globalization, Minneapolis-London, University of Minnesota Press (trad. it. 2001, Modernità in polvere, Roma, Meltemi)
Augé, Marc
2015 - Un etnologo al bistrot, Raffaello Cortina editore, Milano
2017 - Momenti di felicità, Raffaello Cortina editore, Milano
Bauman, Zigmund - Bordoni, Carlo
2015 - Stato di crisi, Einaudi, Torino
Eco, Umberto
2016 - Pape Satàn Aleppe, La nave di Teseo, Milano
Grimaldi, Piercarlo
1996 - Tempi grassi, tempi magri. Percorsi etnografici - Omega edizioni, Torino
Previ, Leonardo
2018 - Zainocrazia. Teoria e pratica di un futuro preferibile, Edizioni Lswr, Milano
Segalen, Martine
2002 - Riti e rituali contemporanei, Il Mulino, Bologna