Sono state settimane di lavoro molto fitto: sto infatti andando in stampa con ben due novità editoriali, ambedue per le edizioni Ultravox, l'editore dei siti del gruppo Ossolanews.
La prima, di cui parleremo in seguito in un apposito post, è relativa ad un libro di poesia dell'amica e collega Giuliana Murgia. Si tratta di una silloge di poesie illustrate da Barbara Visca, che verrà presentata il 12 luglio a Malesco nell'ambito della rassegna Arte, cultura e cucina al Leon d'oro.
La seconda novità è la pubblicazione, in formato libro cartaceo ed e-book del libro "Tradizioni di pastafrolla", una mia ricerca sulla biscotteria tradizionale ossolana e del Vco.
In anteprima vi propongo uno dei capitoli centrali di questo libro, in attesa di un vostro commento.
Il volume sarà presentato sia a Malesco, il 19 luglio, che a Druogno, nell'ambito della rassegna MeMo dell'UniversiCà, il 10 agosto.
Appena ho novità vi lascerò tutte le info sul sito e... non esistate a contattarmi!
3.2 - Il fake-lore dolciario ossolano: i biscotti
Molti i pasticceri che si sono cimentati, negli ultimi anni con i dolci tipici, creando un dolce che fosse in qualche modo tradizionale. E la "tradizionalità" si può ottenere in due modi diversi: o riscoprendo effettivamente antiche ricette, oppure utilizzando ingredienti "tipici" e caratteristici del territorio, quali mirtilli o castagne.
Esiste poi una "terza via": si inventano dolci di sana pianta e vi si collega una leggenda di fondazione. L'esempio più lampante di questo approccio sono le cerrine di Casale Corte Cerro. Prodotte dal panificio Fenaroli sono dei biscotti particolarmente interessanti poiché ad essi è correlata una complessa leggenda di fondazione. I biscotti sono delle semplici paste frolle con nocciole tostate ed aromi naturali, e la leggenda è stata elaborata dalle scuole elementari di Ramate. Il biscotto prende il nome dall'albero del cerro, da cui a sua volta prende il nome il paese di Casale Corte Cerro, mentre la forma ricorda appunto le sue foglie. In questo caso particolarmente interessante è il packaging ed il connubio venutosi a creare tra il paese ed il biscotto: sulla scatola, che presenta una singolare apertura a forma di gigantesca cerrina, sono riportati alcuni scorci di Casale, dati ed ingredienti del produttore (tra cui spicca l'Eccellenza artigiana della Regione Piemonte) e diverse illustrazioni della fiaba, traducendosi in un risultato ben riuscito ed accattivante. Le cerrine, nella scatola, contengono anche un volantino con la loro leggenda illustrata, oltre che vari collegamenti QR. Si tratta di un fakelore alimentare? Attinendosi alla definizione di Dorson no. La leggenda di fondazione è dichiaratamente inventata: sulla scatola viene riportata chiaramente la dicitura "Le cerrine di Casale Corte Cerro dolce nato dalla fantasia dei bambini". Ma si tratta comunque di un dolce che, progressivamente, viene percepito dalle persone come "tradizionale" grazie anche a questa leggenda di fondazione. Parlando con gli anziani del paese, vi è una vera e propria convinzione che quantomeno la prima parte del testo, che si basa su un dato storicamente verosimile, ovvero un signore del luogo di nome Meredano, descritto come un «valoroso ed aitante cavaliere che governava con saggezza ed equità» sia tratta da un documento storico realmente esistente. Inoltre nelle prime tre righe del testo, vi è la corretta indicazione geografica («sulle pendici della Colma Alta») ed il riferimento all'etimologia di Casale Corte Cerro («il suo nome era dovuto ai magnifici boschi di cerro che lo circondavano»): tutte notazioni che avvalorerebbero la tesi della veridicità della tradizione. Interessante quanto scrive sul suo sito l'agenzia di web marketing territoriale Landexplorer, che ha curato il "merchandising" del prodotto: «Non possiamo che essere soddisfatti nel vedere come queste Cerrine stiano diventando "primo ambasciatore" di Casale Corte Cerro» si legge sul sito www.landexplorer.it. Proprio questo gioco tra "finto" e "pseudovero" rende molto particolare ed interessante questo intervento di marketing territoriale portato avanti a cavaliere tra folk e fake.
Un altro biscotto tipico particolarmente interessante è l'offella di Vogogna, prodotto dalla pasticceria Valentino. Come si può leggere dal retro della confezione, su cui compare in primissimo piano un logo dei biscotti in cui sono raffigurati, in un ovale (rimando alla forma delle offelle), Palazzo Pretorio, la rocca ed il castello di Vogogna, veri e propri simboli del paese della Bassa Ossola, il biscotto nasce «dalla passione per l'arte dolciaria di Valentino Cirillo […] un prodotto figlio della tradizione e della primissima qualità degli ingredienti che, attentamente dosati, racchiudono i sapori del nostro territorio». Bastano queste poche righe per comprendere quanto le offelle si inseriscano prepotentemente nel discorso di folklore e fakelore alimentare. Ancor più esemplificativo è lo slogan scelto per il biscotto: "Offelle di Vogogna. Passione. Tradizione". Ma dove sta, in questo caso, la tradizione? Intervistando il giovane pasticcere, figlio di emigrati e nato nel Napoletano, si scopre che la ricetta nasce dalla volontà di creare un biscotto tipico del paese. Biscotto che, sentendo le testimonianze di vari anziani, veniva distribuito da un ambulante, l'offelat, in occasione delle feste principali del paese. Si tratta di un impasto derivante dalla base della pasta frolla a cui viene sostituito un 30% di farina di segale. A questo si aggiunge una mistura di vino Ossolanum ridotto a vin brulé con spezie e cannella. Il nome offella deriverebbe da "offerta", poiché il biscotto era festivo e legato al calendario liturgico, mentre secondo una seconda versione l'etimologia sarebbe da ricondurre a "oef", milanese di uovo. Trattandosi di una pasta frolla il prodotto ha il vantaggio di una lunga conservazione, fino a 2-3 mesi a temperatura ambiente, di un semplice stoccaggio e di una forma ad ovale allungato facilmente ripetibile. Non vi sono leggende di fondazione legate a questi biscotti, che rimangono però ancora vivi nella memoria dei Vogognesi che, ancora prima della loro "rinascita" erano soliti chiedere a Valentino dei biscotti di frolla chiamandoli "offelle", non si sa se perché il termine fosse diventato sinonimo di biscotto o, più probabilmente, per somiglianza con l'impasto originario. Da una ricerca che sto conducendo sul territorio di Vogogna emerge un aspetto molto interessante: l'offellaio, ovvero chi vendeva questi biscotti in occasione delle feste patronali delle varie frazioni, era originario di Cuzzego.
Altri biscotti importanti sono la fugascina di Mergozzo e di Nonio, due ricette molto simili tra loro: si tratta anche in questo caso di una variazione della pasta frolla, con zucchero, burro e farina come ingredienti principali (la fugascina tradizionale di Nonio prevede anche l'uso di olio d'oliva e zucchero semolato sopra). Secondo lo studio delle cadenze dialettali la fugascina apparterrebbe al lago di Mergozzo, mentre nella sponda occidentale del lago d'Orta non sarebbe propriamente corretto il termine, che andrebbe, secondo gli studi di linguistica, corretto in figascina. Nello studio di questo biscotto l'archeologa Elena Poletti Ecclesia ne ha trovato una somiglianza ed attinenza con l'ostiella medioevale. Infatti, ricollegandosi al discorso precedente dell'offella di Vogogna, «sembrano rimandare a tradizioni assai lontane e risalenti per lo meno all'epoca romana i "biscotti della festa" tipici del nostro territorio: ogni paese attorno al lago d'Orta ed in molte altre aree e vallate vanta una propria ricetta per la preparazione di un biscotto o focaccina dolce (fugascina o ufela), da distribuire in occasione della festa patronale o di qualche ricorrenza speciale» (Poletti Ecclesia, 2002, pp. 42-44). Tra la Fugascina di Nonio, prodotta da Aldo Piazza, e quella di Mergozzo, del Vecchio fornaio pasticcere, vi è indubbiamente una migliore valorizzazione di quest'ultima. Le sue origini, come testimoniato dagli stessi produttori, risalgono almeno al 1857: in tale data, infatti, vi sono le testimonianze archivistiche di un notaio di Milano che offre 3 lire e 65 centesimi per l'acquisto di questo dolce. Gli ingredienti sono farina bianca, zucchero, rosso d'uovo e burro; un tempo c'era anche chi utilizzava per insaporire l'impasto cognac, piuttosto che grappa o marsala. La ricetta di Mergozzo è stata tramandata da mezzo secolo da un altro pasticcere, ed è caratterizzata dall'essere fatta completamente a mano, sia nella fase di tiraggio che in quella di taglio (naturalmente da effettuarsi appena sfornata, con l'impasto ancora caldo). Questo conferisce al dolce una vera e propria "tradizionalità" (o meglio artigianalità): le fugascine non saranno mai perfettamente uguali l'una all'altra. Il dolce, che ha ottenuto la certificazione Pat (Prodotto agroalimentare tradizionale) ha probabilmente origini molto più antiche: questo è deducibile sia dalla semplicità degli ingredienti e dell'impasto, sia dalla tradizione, ancora oggi viva, di essere preparato dalle donne della frazione Sasso la seconda domenica di luglio in occasione della festa patronale. Questa usanza è ancora oggi portata avanti dalle famiglie di Bracchio, Albo e Candoglia, che chiedono al Vecchio fornaio pasticcere in prestito le padelle per cuocere il proprio impasto direttamente nel forno professionale. Come testimoniano gli attuali proprietari e produttori del dolce, Patrizia Baroni e Giordano Pavesi, «le famiglie di Mergozzo ci chiedono in prestito le teglie per poter preparare il dolce in occasione della festa di santa Elisabetta e cuocerlo nei nostri forni. Negli anni questa tradizione si era persa, ma con gli anni è fortunatamente ripresa ed oggi non c'è famiglia che non produca, in quell'occasione, la propria fugascina, portando avanti la propria ricetta familiare». Il prodotto, infine, viene oggi commercializzato in scatole di cartone, di latta o nel classico sacchetto di plastica, recanti il marchio della pasticceria ed una veduta di Mergozzo, portando avanti il discorso fin qui accennato di dolce tipico venduto come "souvenir di viaggio", rivolto, almeno in queste scatole, a turisti o per fare un presente.
E come offerta alla divinità, o meglio come ex voto, nascono le Roselline di Re della Dolce panetteria di Masera. Il biscotto, anch'esso un frollino a base di castagne, nasce nel 2007, dopo che la madre di Azzurra Pedroli, proprietaria della panetteria, fu operata all'esofago. Purtroppo le condizioni erano assai critiche e, come spesso accade in situazioni drammatiche, ci si rivolse alla Madonna del sangue di Re, un culto molto diffuso in Ossola e non solo (cfr, tra gli altri Ciurleo, 2005 e Crepaldi 2012). Miracolosamente tutto si risolse per il meglio, facendo così nascere, come ex voto, questo biscotto, su cui è impresso il marchio con le tre roselline, attributo della Vergine. Il biscotto ebbe un grande successo, sia commerciale che, soprattutto, tra i responsabili del santuario, che concessero l'utilizzo del marchio e persino avvallarono la stampa di un piccolo opuscolo, contenuto nella confezione da 250 g delle Roselline, contenente, in più lingue, la storia illustrata del miracolo della Madonna del sangue. Dal canto suo la titolare della panetteria si occupa di donare diverse confezioni di biscotti ogni anno alla sagrestia del santuario, oltre che di fare molta pubblicità, sia in provincia che fuori, a Re. In questo caso, seppure il prodotto sia particolarmente giovane, troviamo che la "leggenda di fondazione", ovvero l'atto di devozione, non tanto inusuale per il santuario (basti guardare le numerose pareti in cui sono affissi fiocchi di protezione per i bambini o ex-voto con quadri ritraenti disgrazie o malattie o ancora lavori all'uncinetto con la sigla "PGR"), ha creato un prodotto ormai diventato a tutti gli effetti "tradizionale".
Sempre parlando di biscotti riscoperti dalla Dolce Panetteria, ed ancora prima dallo chef Sergio Bartolucci, vanno citati i biscotti Bottinelli, ovvero i biscotti ossolani.
La ricetta nasce nell'Ottocento dal pasticcere Giuseppe Bottinelli, che mescola i «prodotti più semplici del […] territorio, dando vita a questo insieme armonico di sapori» (Bartolucci, 2010, p. 111). Proprio grazie a questa ricetta il pasticcere, nel 1907, in occasione della prestigiosa Esposizione internazionale di Madrid, si aggiudicò la medaglia d'oro. Bartolucci racconta anche la vita di questo pasticcere, nato a Viggiù nel 1876 e trasferitosi nel capoluogo domese verso la fine dell'Ottocento, dove aprì, in piazza Mercato, la Premiata pasticceria Bottinelli, che rimarrà aperta fino al 1925 quando si trasferì a Pallanza. Proprio nella frazione verbanese, inventò un altro biscotto tipico, gli amaretti di Pallanza, nel negozio di via Ruga. Si spense nel 1960. Nel corso degli anni, però, i biscotti iniziarono a sparire: la ricetta, ed anche il ricordo della preparazione, si perse per circa un secolo. Bisogna aspettare il 2002 per ritrovare e veder rinascere, nella stessa scatola rossa Bottinelli, la specialità dolciaria. Anche in questo caso è stato lo chef Sergio Bartolucci che, ritrovando per caso da un rigattiere una scatola di metallo con manico di rame, comincia una ricerca accurata che porterà alla riscoperta della prelibatezza dolciaria. Nel marzo 2010, infine, i diritti del prodotto vengono ceduti ad Azzurra Pedroli e Bruno Minoletti, della Dolce panetteria, «con l'impegno della continuità storica del prodotto» (Bartolucci, 2010, p. 111). Anche in questo caso si tratta di un biscotto che si basa su una frolla montata arricchita con farina di castagne.
Esiste anche un ulteriore biscotto domese, questa volta denominato D… come dolcetti. Anche qui si tratta di un biscotto nuovo, nato nel 2008 grazie alla sinergia tra l'associazione Mamma Ossola e la pasticceria Doria di Domodossola. Non si tratta certamente di un biscotto tradizionale, o meglio della riscoperta di una ricetta antica: gli ingredienti infatti prevedono zucchero, burro, mandorle, farina di mais, uova, margarina, farina di semola di grano duro, nocciole, farina di castagne, miele, lievito ed aromi quali vanillina e limone. Si tratta di un frollino friabile, che l'ideatore, Antonio Doria, ha sperimentato in diverse varianti prima di arrivare alla ricetta definitiva. La caratteristica più interessante, sotto diversi aspetti, è il merchandising: il prodotto (che ha la forma di D, sfruttando lo spelling nazionale che vede associare sempre la D con Domodossola), infatti è dotato di una scatola di metallo in due varianti, rossa e verde (e presto si sta pensando di realizzarne anche una versione azzurra), progettata dall'Arca studio di Omegna, che ha creato una composizione sfruttando le cartoline ossolane ed alcuni simboli del territorio. Tra questi, ad esempio il costume tipico di Montecrestese, la stella alpina, il quadrifoglio, alcune vedute di Macugnaga o di Domodossola, il traforo del Sempione e molti altri simboli che sono diventati sotto diversi aspetti l'autorappresentazione dell'Ossola (cfr Ciurleo, 2005; Ciurleo, 2007). Lo scopo di questa iniziativa era quella di raccogliere fondi per l'associazione umanitaria nata nel 2003, ma l'idea del biscotto voleva anche creare una sorta di biglietto da visita del territorio, evidenziato anche dallo slogan, riportato sulle confezioni, "Un saluto dall'Ossola". Di queste scatole ne vennero prodotte 4mila, che vennero vendute a tempo di record, grazie sia alla finalità benefica che, soprattutto, ad un prezzo molto abbordabile. La vendita dei biscotti prosegue ancora oggi, in scatole più semplici, mantenendo però la finalità benefica: parte del ricavato dalla vendita del prodotto viene infatti ancora oggi devoluto a Mamma Ossola.
Ultimi due esempi di biscotti dichiaratamente fake e creati proprio in occasione di un evento sono i cavagnett e gli zicar. Si tratta di due biscotti, o meglio di due veri e propri esperimenti di fake-lore, concepiti ed ideati in occasione del primo convegno delle Cavagnette, svoltosi il 5 agosto 2012 a Trontano. La loro genesi è molto semplice e si colloca in un progetto di valorizzazione e riscoperta culturale che ho avuto modo, insieme all'amico Pier Franco Midali, di portare avanti da qualche anno. Lo scopo era quello di far conoscere, ed in alcuni casi rinascere, le Cavagnette, alberi rituali portati in processione dalle donne capillarmente diffusi in Ossola ed in tutto il Piemonte. Per riuscire a rendere il convegno, organizzato nell'ambito della festa patronale, "economicamente sostenibile", ovvero per rientrare delle spese, con il gruppo Folk e tradizioni di Trontano, in particolare con Rosalia Zaccheo, abbiamo pensato di creare, dal nulla, dei biscotti tipici. Primo problema: a chi affidare il compito di creare questi biscotti? Purtroppo Trontano non aveva panetterie e pasticcerie locali, ma due panetterie domesi hanno "radici" trontanesi, ovvero la panetteria Da Ivano e quella Da Germano. Secondo problema posto è stato quello relativo agli ingredienti: cosa richiedere ai pasticceri? Che tipo di biscotto produrre? Ricercare un ricetta "tipica" oppure lasciare libero spazio alla creatività? Abbiamo deciso di adottare questa seconda strada: i biscotti avrebbero dovuto avere qualche legame con la tipicità, con gli ingredienti (scartando quindi ingredienti quali cocco o frutta esotica), mentre per il resto si è lasciata carta bianca ai due laboratori. La risposta che hanno dato i due artigiani è stata molto diversa: in un caso si è optato per la rielaborazione di un biscotto già studiato, aggiungendo agli ingredienti di una frolla montata farina di castagne e di segale, mentre nell'altro si è rielaborato il classico Brutto e buono di Borgomanero aggiungendovi nocciole. In particolare Da Germano ha prodotto molte tipologie di biscotti, sfruttando vari ingredienti: dalla segale, al mirtillo alla farina di polenta.
Per quel che concerne il nome è stato deciso dagli organizzatori: cavagnett, naturalmente, è la versione dialettale di Cavagnetta, mentre il biscotto zicar prende il nome dal termine dialettale che indica i "luoghi".
Anche in questo caso di cosa si tratta? Di folklore? Di fake? Di folklorismo? La risposta non è semplice, questi biscotti, il cui pakaging è differente (gli zicar in scatola rigida di cartone inneggiante alla tradizione, i cavagnett in bustina di plastica), hanno un adesivo che li accomuna, quello in ricordo del suddetto convegno, raffigurante una cavagnetta, quella che potremmo definire la "vera tradizione". Tradizionali sono anche gli ingredienti utilizzati, condizione fondamentale a cui tutti e due i pasticceri si sono attenuti nel loro processo creativo. Chiaramente inventata, o meglio rielaborata, è la ricetta: nel caso degli zicar è una frolla montata, affine se vogliamo ai biscotti Bottinelli, mentre per i cavagnett il riferimento è ai brutti ma buoni di area borgomanerese. Il successo di queste preparazioni è stato notevole: in una sola giornata sono state vendute quasi 200 confezioni assortite, i cui proventi sono andati alla parrocchia per coprire le spese di organizzazione.
In occasione dell'importante kermesse di Pane, formaggio e pietra 2013 di Beura Cardezza sono stati presentati i beuritt, l'ultima creazione della panetteria-pasticceria Da Germano di Domodossola. Una ricetta che rievoca la tradizione, nel senso più lato possibile del termine, nei suoi ingredienti, rustici ma allo stesso tempo molto variegati: si tratta di una frolla rielaborata con farina di segale, semi di uva, farina bianca ed altri ingredienti poveri che contribuiscono a rendere il biscotto friabile e dal sapore "retrò”.
Il biscotto, che ha la forma di un fiore di dimensioni ragguardevoli, viene poi abbellito, ed arricchito, con cioccolato fondente, oppure cristalli di zucchero, diavolini colorati, granella di nocciole o altro. Anche in questo caso il dolcetto, seppur inventato proprio poche settimane fa, può inserirsi a pieno titolo nel panorama della biscotteria "tradizionale" ossolana. Anche in questo caso la "tradizionalità" è data non tanto dalla riscoperta di un antico biscotto, quanto piuttosto dalla sua invenzione utilizzando ingredienti "verosimilmente tradizionali", ovvero del territorio e che contribuiscono a dare un tocco di "storicità" all'impasto. L'aspetto interessante è che in molti casi questi dolci, con il passare degli anni, seppure i produttori, molto onestamente, abbiano chiarito che si tratta di una loro creazione, sono progressivamente stati percepiti come "tradizionali" dai clienti, che li hanno quasi "storicizzati", o meglio a-storicizzati, collocandoli cioè in quello spazio cronologicamente fuori dal tempo che è il mondo tradizionale. Probabilmente, tra non molti anni, diciamo anche solo tra un decennio, anche i Beuritt potrebbero subire questa sorte, diventando a pieno titolo il "biscotto tradizionale di Beura" le cui origini si perdono in quel grande e confuso calderone che va sotto il nome di "tradizione".
Ad Ornavasso, nel dicembre 2011, sono invece state messe in vendita, dalla pasticceria Biggio, le Campanelle del Boden. In questo caso non si tratta di un biscotto friabile, quanto piuttosto di una pasta morbida, prodotta in piccoli stampi, con un impasto a base di nocciole, farina di polenta e miele. Il dolcetto, marchio registrato, ha la caratteristica di avere una scadenza abbastanza ravvicinata nel tempo: la sua conservazione è di sole due settimane, in confronto ai tre - sei mesi degli altri impasti analizzati. In questo caso, nonostante le ricerche portate avanti tra gli anziani, non sono stati ritrovati dolci tipici da ricostruire: esistevano le tradizioni dei fusniti, ovvero del pane passato nell'uovo e fritto, e dei brislin, delle cialde di origine Walser, ma nessuna preparazione era tipica di Ornavasso. Il packaging prevede delle confezioni da 150 e 300 g insacchettate e con un cavallotto dove, sullo sfondo del santuario del Boden, sono ritratte le campanelle.
A Gravellona Toce, invece, sono state prodotte, dalla Pasqua 2011 dalla pasticceria Bianchi, le foglie di quercia. Si tratta di un biscotto molto particolare (non si tratta infatti della variazione di una pasta frolla), che ha come ingredienti una pasta macinata con mandorle, nocciole, zucchero, albume, latte, farina e cannella. L'impasto, che deve riposare una settimana in frigorifero, viene poi spatolato in uno speciale stampo di teflon alimentare, e, dopo la cottura, viene posto a raffreddare su una piastra ondulata per conferirne l'aspetto curvo. Come testimoniato dal creatore, Bruno Bianchi, «a Gravellona non esisteva un biscotto tipico. Abbiamo deciso di utilizzare come ingrediente principale le nocciole, prodotto tipico del Piemonte, mentre la forma della foglia richiama la flora tipica della nostra zona. L'inizio di questa produzione è stata molto soft, poi il successo è arrivato in concomitanza con le feste, dove venivano spesso utilizzate come regalo gastronomico». La scatola, proprio in questi tempi rinnovata, vede il simbolo della foglia di quercia dorato impresso su una scatola di cartone con in evidenza la scritta "specialità di Gravellona Toce". La lavorazione è particolarmente lunga: due persone al lavoro per mezza giornata riescono a produrre tra le 25 e le 30 teglie.
Gli ultimi biscotti presentati in ordine di tempo sono i “santitt” di Domodossola, nati su volontà del neo-parroco, don Vincenzo Barone, nel giugno 2013, in occasione della festa dei santi patroni, Gervasio e Protasio. Anche in questo caso si tratta di una frolla, su cui sono impresse le effigi dei due martiri milanesi, il cui culto è capillarmente diffuso in tutta l’Ossola. Secondo alcuni la ricetta è stata “scoperta” in un archivio della chiesa. In realtà questo ritrovamento, non confermato ufficialmente dal parroco, sembra essere molto sospetto: difficilmente in un archivio parrocchiale si trovano dati differenti da registri sacramentali, visite pastorali e cose attinenti il mondo ecclesiastico o al limite le attestazioni di fede popolari. Ed ancora più raro sarebbe trovare una ricetta. Attestazioni bibliografiche o orali della presenza di biscotti in occasione della festa patronale, inoltre, non ne sono stati trovati (almeno da parte mia in questo ambito di ricerca), come invece era accaduto per il già citato caso delle cerrine di Casale Corte Cerro o le offelle di Vogogna, la cui presenza in ambito festivo era accertata e ben testimoniata. Se poi si guarda la ricetta ci si trova sicuramente di fronte ad una rielaborazione: vi sono due tipologie di farina (bianca e di segale, quest’ultima frequentemente utilizzata per dare quello che si potrebbe definire “il gusto della tradizionalità”), zucchero, miele (due tipologie di dolcificanti che ancora una volta, se guardiamo nelle ricette storiche, quali le fugascine, difficilmente erano utilizzati insieme), uova e vin santo. Proprio per queste ragioni i santitt, prodotti dalla pasticceria Camerlengo (che aveva lavorato anche nella riscoperta degli antichi biscotti Bottinelli) sembrano essere un tipico caso di fake-lore. Molto interessante, invece, è il discorso relativo alla loro diffusione: questi biscotti sono stati infatti impacchettati e distribuiti, ad offerta libera, ai domesi. In particolare sono stati regalati alle persone che hanno partecipato alla celebrazione degli anniversari di matrimonio, svoltasi in parrocchia a metà giugno, pochi giorni prima della processione per le vie del paese.
Tornando a Mergozzo esistono anche altri dolci tipici, prodotti da Il forno shop di Morena Grossi. Non si tratta di dolci storici, ma di prodotti inventati per valorizzare il paese, creandone un legame con la tradizione di montagna. Ecco allora le foglie dell'olmo, nate 15 anni fa in onore dello storico olmo presente al centro del paese, sul lungolago. Si tratta anche in questo caso di due biscotti di pastafrolla tagliati a forma di foglia al cui interno vi è una farcia a base di marmellata, nocciolata, o crema al caffé. Tra gli altri biscotti nati in questo laboratorio ci sono anche i nocciolati di Bracchio, la frazione di Mergozzo dove era situato il laboratorio di produzione e le stelle alpine, nate nel 2012. Si tratta, in questo caso, di un biscotto a base di maizena, zucchero, albume ed un mix di farina di riso, integrale e segale. Il tutto amalgamato con miele di castagno, nocciole e mandorle per darne «il sapore rustico della montagna». Anche in questo caso il packaging ha la massima personalizzazione: da fotografie storiche di Mergozzo sino a fotografie strettamente personali per compleanni, lauree, matrimoni...
Ed uscendo dall'Ossola il discorso non cambia. Omegna, ad esempio, è certamente una cittadina caratterizzata da ben tre dolci tipici: damine, duchesse ed imperialine. Si tratta, in tutti e tre i casi, di una sorta di doppio biscotto, friabile, a base di nocciole o mandorle, unite da uno strato di cioccolato fondente.
Le più antiche sono le imperialine della pasticceria Iraghi di Marcello Daverio. Si tratta di una ricetta, protetta da marchio registrato, sicuramente antecedente al 1938. Proprio risalente a quella data troviamo infatti una pubblicità dell'allora pasticceria Roma, in occasione della festa di San Vito, patrono di Omegna, in cui è presente questa pubblicità sotto forma di poesia: «Quando una pena ti turba il cuore / quando financo t'annoia l'amore / tutto al mondo pare t'appaghi / se un acquisto fai da Carlo Iraghi. / Dolci egli ha squisiti e invitanti / che a peccare indurrebbero i santi / due note specialità poi tutti li doma / le imperialine e l'amaretto Roma». Si tratta, come già detto, di una cialda a base di farina, burro, zucchero, nocciole, cioccolato, albume e vaniglia. Come nello spirito dell'inventore, ancora oggi il prodotto è corredato da uno slogan: «Prima una sottilissima cialda croccante e poi il goloso cioccolato. E poi? Un'altra». La scatola con cui vengono vendute oggi può presentare una veduta di Omegna o i classici sacchetti. La caratteristica principale è che le imperialine sono incartate in monoporzioni da due o quattro biscotti.
Più recenti sono le duchesse, attualmente prodotte da Stefano Longoni della pasticceria Jolly. La ricetta risale per lo meno agli anni '60 del Novecento. Si tratta, anche in questo caso, di un prodotto a base di nocciole, con due biscotti attaccati da uno strato di cioccolato fondente e confezionati in pacchetti da 4 termosaldati.
Le più recenti creazioni nel panorama della biscotteria omegnese sono ledamine, prodotte da Enrico Lager nella pasticceria Il campanile. Si tratta di dolci prodotti già nel 1984, quando il padre del pasticcere era titolare del Bar 2000. Si tratta di una ricetta che riprende, rielaborandola, quelle degli altri biscotti diffusi nella città lacustre: nell'impasto vengono utilizzate nocciole tonde e la farcia è a base di cioccolato Streglio.
La tradizione dolciaria piemontese è senza dubbio rinomata in tutto il mondo, e deve molto alla vicina pasticceria francese. Dalle classiche bignole passando per le torte sino alla tradizione di biscotteria con Baci di dama, canestrelli di Biella, nocciolini del Chivassese, piuttosto che le paste di meliga del Monregalese o le geograficamente più vivine all'Ossola miacce della Val Sesia o le margheritine di Stresa e gli ovis molli di Arona. Questi biscotti hanno un medesimo impasto caratterizzato dall'uso di tuorli di uova sode, burro, zucchero a velo, fecola e farina. La differenza tra i due prodotti dolciari consiste solamente nella forma: mentre le margheritine di Stresa sono delle palline con una fossa al centro, nel caso dei biscotti aronesi questo incavo è riempito di marmellata. Secondo lo chef Bartolucci, che ha proposto una sua versione del biscotto, nato nel 1868 in occasione del matrimonio di Margherita di Sassonia con Umberto I di Savoia, una differenza tra le due tipologie di biscotti consiste nel tempo e nelle temperature di cottura: le margheritine necessitano di dieci minuti in forno a 160°C, mentre gli ovis mollis dodici minuti a 200°C (cfr Ifeelfood, 2013, p. 56).
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