Spazzacamino pop!

Poverello nostalgico delle montagne o gran seduttore? L’ambivalenza dello spazzacamino nella cultura pop

 

Abstract

 

Il presente saggio parte dal concetto di ricerca antropologica nel vasto patrimonio della cultura pop (naturalmente nel senso inglese del termine). Scopo di questa breve indagine è quella di evidenziare i due estremi entro cui si è formato lo stereotipo identitario della figura dello spazzacamino, tra l’iconografia del Bert di Mary Poppins, quello cantato da Nanni Svampa e la rappresentazione che troviamo nell’anime giapponese “Spicchi di cielo tra baffi di fumo”.

 

La Valle degli spazzacamini

La Vigezzo è senza dubbio una delle vallate ossolane più ricche di simboli attraverso cui costruire la propria identità, multiforme, costruita attorno a diversi simboli, tra cui quello dei migranti. Una vallata conosciuta come “La valle dei pittori”, se si vuole mettere l’accento sulla rinomata scuola di pittura impressionista, piuttosto che come la valle degli “spazzacamini”. Una valle dove le migrazioni sono state funzionali: secondo il Cavalli, storico vigezzino, e le testimonianze di altri scrittori della valle, ogni paese della Vigezzo ha avuto almeno un migrante che “ha fatto fortuna”, basti citare Feminis e Farini, gli inventori dell’acqua di Colonia. Tra questi migranti particolare importanza la ebbero gli spazzacamini, i “rüsca”, particolarmente diffusi in valle, tanto da diventarne eponimi. Proprio a loro è dedicato, ogni anno, il Raduno internazionale degli spazzacamino, organizzato, da quasi trent’anni, da un’apposita associazione.

Questo lavoro, definito dallo storico Pollini a fine ‘800 come «umile ma fondamentale», veniva praticato quasi dalla maggior parte dei Vigezzini, costretti ad emigrare a causa della sterilità del terreno. Quella dello spazzacamino era un’attività particolarmente diffusa in molte zone dell’arco alpino: in Val d’Aosta venivano definiti ramoneur, mentre erano detti burna nella Valle dell’Orco e rüsca in Vigezzo, Cannobina e nel Canton Ticino. Le più antiche testimonianze di queste migrazioni stagionali risalgono al 1538, mentre in uno scritto tedesco di pochi anni successivo, la val Vigezzo viene definita con il termine Kamifegertal, ovvero Valle degli spazzacamini. Inoltre, come testimonia il parroco di Gurro, Attilio Zanni, in un’intervista del 1906, «senza l’industria degli spazzacamini morirebbero tutti d’inedia! Nella buona stagione gli uomini emigrano in cerca di lavoro e nell’inverno sono i poveri bambini che sgobbano sui camini della Bassa» (Mazzi, 2000, pp. 5-7). Si trattò di una forma di migrazione che in molti casi ebbe successo: ognuno dei sette comuni della val Vigezzo, oggi, vanta le sue “celebrità” tra scienziati, inventori, uomini d’arme, medici, storici docenti universitari discendenti da spazzacamini emigrati in varie zone d’Europa (Cfr Ciurleo, 2007).

Analizziamo la figura dello spazzacamino che troviamo musealizzata a Santa Maria Maggiore piuttosto che nelle varie statue che lo rappresentano: un giovane, o meglio un bambino, sporco, con gli attrezzi del lavoro (tra cui il riccio che utilizzava per pulire i camini). È il simbolo della migrazione: tanti, infatti, erano i giovani “rüsca” che affrontavano una migrazione stagionale verso Milano piuttosto che la Francia.

 

Cam caminì, spazzacamin…

Una delle figure dello spazzacamino che maggiormente ha influito nella cultura popolare è senza dubbio quella di Bert, lo spazzacamino di Mary Poppins. Il riferimento, naturalmente, è alla pellicola della Disney del 1964: nel romanzo della Travers, infatti, la figura di Bert è molto più marginale e rilevante.

E’ forse proprio attraverso il brano più famoso cantato da Bert, che troviamo la descrizione “pop” della figura del “ramoneur”: una persona felice, quasi non consapevole della sua condizione considerata dagli altri quasi “miserevole”. D’altra parte è proprio Bert che ammette che «Tu penserai che lo spazzacamin / si trovi nel mondo al più basso gradin, / io sto fra la cenere eppure non c’è / nessuno quaggiù più felice di me»! Ma, nonostante questo, la figura è “allegra e felice”, senza pensieri, una figura portafortuna, rimasta anche nell’uso di statuette (alcune vendute al Raduno degli spazzacamini come amuleto). E questo aspetto di porta fortuna è sottolineato anche dalle strofe seguenti della canzone:«la sorte è con voi se la mano vi do: / chi un bacio mi dà felice sarà». E ancora: «Cam caminì, cam caminì spazzacamin la mano puoi dar alla felicità; / è bello vivere sempre così / e insieme cantar cam cam caminì, /  cam caminì cam cam lo spazzacamin».

Interessante è anche la descrizione del suo lavoro che traspare dal brano musicale:  «Scelgo le spazzole proprio a puntin / con una la canna, con l’altra il camin. / Là dove il fumo si perde nel ciel / lo spazzacamino ha il suo mondo più bel; / tra la terra e le stelle di Londra nel cuor / rischiara la notte un vago chiaror. / Sopra i tetti di Londra, oh!, che splendor!». Niente a che vedere con la miseria raffigurata e presente in altre opere! Vale la pena considerare una interessante analogia che si può creare tra una canzone di Renato Rascel, Spazzacamino, ed un esempio molto più pop, ovvero l’anime Spicchi di cielo tra baffi di fumo. 

 

Spicchi D’Avena tra baffi di Rascel

La canzone di Rascel riprende senza dubbio quella che è l’iconografia utilizzata ancora oggi per lo spazzacamino: un lavoro umile, riservato ai bambini per via delle loro dimensioni e della corporatura esile. Un brano che punta molto sulla condizione di sofferenza di questi migranti, che si sentono dei signori anche solo dormendo in un letto di neve. È proprio l’aspetto del viaggio quello che viene maggiormente evidenziato, ad esempio nei versi «Come rondine vo’ / senza un nido né raggio di sol, /  per ignoto destino / il mio nome è lo spazzacamino», insieme alla situazione dei bambini strappati dalle proprie famiglie, come traspare proprio dalla strofa successiva: «Della mamma non ho / la carezza più tenera e lieve, / i suoi baci non so: / la mia mamma è soltanto la neve».

Uno spazzacamino che, a differenza di Bert, va in giro con un «fardello di cenci e pene»: un bimbo reietto, emarginato e che si ritrova, a Natale, ad anelare i balocchi, salvo poi essere scacciato, in una scena quasi degna di Dickens:«io mi accosto per giocare / quando un bambino / mi dà un urto / non toccar, va a spazzare il camin».

E dalla canzone italiana degli anni ’60 farei un salto di trent’anni e di migliaia di chilometri, passando all’analisi dell’anime Spicchi di cielo tra baffi di fumo. 

In questo caso la trama, relativamente simile al romanzo originale, salvo qualche piccola differenza tipica dell’animazione giapponese (e delle censure italiane!) riprende la tematica forte del giovane spazzacamino, giovinetto spesso “venduto” dai genitori per effettuare questo duro lavoro.

Innanzitutto l’aspetto più interessante di questo anime è quello relativo all’acquartieramento ed alle dinamiche migratorie, che riprendono, senza dubbio, la teoria della chain migration (MacDonald, 1964). Una migrazione a “close knit”, a maglie strette: gli spazzacamini fanno dei gruppi tra di loro, una sorta di “corporazione”, se vogliamo di “enclave”, organizzata per una doppia appartenenza professionale (tutti sono spazzacamini) e territoriale (tutti provengono dall’arco alpino).

La storia, nel romanzo, prende il via dal Canton Ticino, dove il protagonista si trova costretto, per alterne traversie, a “vendersi” - letteralmente - al “Diavolo”, azzeccato soprannome di tal Luini. Purtroppo la barca con cui attraversano il Lago Maggiore affonda e muoiono quasi tutti gli occupanti. La vicenda prosegue con una serie di traversie per il povero Romeo.

 

Anche la sigla offre spunti di riflessione interessanti: la canzone, che parte con una melodia che ricorda un canto alpino, inizia con la situazione iniziale, poi si ricorda la partenza del migrante; la nostalgia è tanta, infatti, «in fondo al cuore di Romeo c’è sempre il suo paesino / e forse un giorno o l’altro fra i suoi monti tornerà!».

 

- Continua -

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