Feste patronali, tra Folk e Fake

Torno ad aggiornare il mio sito dopo qualche mese, ma con importanti novità.

Ma, visto che il sito parla di antropologia vorrei fare una piccola riflessione antropologica su questa notizia, apparsa sul quotidiano OssolaNews (se poi volete fare un salto anche sul nuovo nato della famiglia di OssolaNews, ovvero OssolaParchi, siete i benvenuti!): il parroco di Domodossola, don Vincenzo Barone, ha deciso di cambiare il percorso processionale dei "Santini" ed arrivare in piazza Matteotti, dove imperverserà la festa del Giugno Insieme.

Naturalmente, con un po' di onestà intellettuale, non posso dare giudizi a priori sulla manifestazione. Ma posso, da antropologo culturale (che tra l'altro sta affrontando il delicato discorso relativo a Folk/Fake sia in ambito alimentare che in ambito generale), non posso esimermi dal fare qualche considerazione.

Non voglio essere bigotto e considerare a priori che la fede non si possa mischiare assolutamente con il tempo libero. Anche perché basta vedere le varie feste patronali ossolane capillarmente diffuse in tutto il territorio per rendersi conto che, oggi, ai momenti religiosi si affiancano SEMPRE momenti di divertimento.

Le feste di Montecrestese, che ho avuto modo di studiare sia antropologicamente che di farne la cronaca come giornalista, hanno il pranzo, e poi, ben separata, la funzione religiosa e l'incanto delle offerte.

In questo caso si rischia di mettere tutto assieme in una sorta di "riso e fagioli" poco coerente.

Funzionerà? Da antropologo nutro moltissimi dubbi: ogni volta che si fa uscire una tradizione sacra dal suo contesto religioso la si snatura. Ed il rischio è che da un lato si trasformi in fakelore, in folklorismo, in una mera costruzione fatta ad uso e consumo dei turisti, e che conseguentemente venga abbandonata, o si modifichi irrimediabilmente.

È questo il rischio che io e Pierfranco Midali abbiamo voluto evitare facendo i vari raduni delle Cavagnette, mantenuti in ambito rigorosamente sacro proprio per ovviare al problema del folklorismo e della eventuale disaffezione da parte dei "nativi" (orribile termine antropologico) alla manifestazione. 
Spero naturalmente che la processione funzioni ed i miei dubbi vengano fugati da un'ottima manifestazione. 
Ma mischiare sacro e profano mi sembra sinceramente rischioso, troppo rischiso oggigiorno. Anche perché la tradizione, mi dicevano i miei maestri, è un gioco (ed un gioco è sempre una cosa seria!), ma anche una fragilissima catena: spezzato un anello si rompe e diventa qualcosa di diverso.

Le intenzioni sono certamente delle migliori. Ma già l'anno scorso, in occasione della processione, ho sentito con le mie orecchie molte lamentele di partecipanti che criticavano duramente il fatto che i residenti, nei pressi del percorso, avessero lasciato fuori i bidoni della spazzatura che sarebbe stata ritirata l'indomani. Molte persone l'hanno percepita come una mancanza di educazione, quasi un affronto alla loro religiosità, anche se sono quasi sicuro che, nel lasciare il bidone del vetro fuori casa come ogni sera, nessuno avesse avuto intenzione di offendere.

Quando passa una processione o un corteo religioso, personalmente, di qualsiasi religione sia, io mi faccio da parte ed assumo un atteggiamento di rispetto, in silenzio. Non mi metto a ridere o a scherzare ad alta voce. Non faccio battute sull'ostentazione della religiosità.

Ma siamo sicuri che, nel marasma di piazza Matteotti, dove si attendono centinaia di persone, tutti rispettino questo doveroso silenzio? Che gli altoparlanti si spengano al passaggio del clero? Che i ragazzi non si mettano a fare commenti impropri ad alta voce? Che nessuno imprechi o bestemmi, anche magari solo come intercalare o per credersi, a sproposito, comico?

Io, sia da antropologo che da persona, non ci metteri la mano sul fuoco!


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