Buon falò!

Il presente testo è tratto dal volume "Fiamme e sacrifici", che potete trovare in vendita nel book shop. NB - Si tratta di un testo pubblicato a puntate. I riferimenti bibliografici li troverete nell'ultima parte.

 

Introduzione teorica

Sono diversi gli aspetti teorici e rituali a cui fare riferimento quando si parla di falò solstiziali.

Innanzitutto bisogna inserirsi nel contesto, fortemente rituale e ritualizzato, della società tradizionale. Per ovvi motivi di spazio il presente testo vuole essere una semplice introduzione alle tematiche (cfr Grimaldi, 1993; Grimaldi, 1998; Bravo, 2003).

Molto spesso questi riti, in particolare quelli che si collocano nel cosiddetto “ciclo dei 12 giorni”, ovvero il periodo in cui sono concentrate le feste di inizio anno, da Natale all’Epifania, sono considerati dei riti di matrice pagana per propiziarsi il nuovo anno dal punto di vista agricolo, sottoposti quindi ad un’opera di sussunzione da parte della liturgia cristiana. 

I simbolismi messi in ballo in occasione di questi falò sono molto forti: il fuoco rappresenta infatti la luce che squarcia le tenebre, in un periodo dell’anno di forte crisi, prossimo al solstizio d’inverno, con la notte più lunga dell’anno.

Se a questo si aggiunge che, in diversi paesi alpini, il sole non fa nemmeno capolino, addirittura per mesi, dalle montagne, il significato di questi riti di “magia simpatica”, è ancora più evidente. Questo tipo di magia, infatti, si basa sulla logica che il simile influisce sul simile, fondati sulla somiglianza tra lo strumento messo in atto e ciò che si vuole ottenere: si accende un fuoco che illumina e scalda per “insegnare” al sole a tornare ad illuminare e scaldare (Frazer, 1890). In particolare la luce assume un ruolo preminente anche nel contesto di quella che viene comunemente definita “la Grande festa”, ovvero il periodo natalizio, per la precisione i 12 giorni che intercorrono tra Natale e l’Epifania. Un periodo di passaggio molto delicato, anzi il periodo di transizione per eccellenza, quello in cui «la dinamica insita nel ciclo vita-morte-rinascita si manifesta concretamente e simbolicamente con grande forza» (Baldini-Bellosi, 2012, p. 47). 

Le testimonianze sono sotto gli occhi di tutti: le città sono comunemente addobbate con luminarie, ovvero luci spesso colorate e di varie forme (le più diffuse sono di stella - in particolare stella cometa - piuttosto che candele) che hanno lo scopo di illuminare la città, portando allegria e, simbolicamente, rischiarando la notte incipiente.

Pensiamo poi alle devozioni legate a santa Lucia (tradizionalmente «il giorno più corto che ci sia», seppure le prove scientifiche astronomiche confutino questa teoria), il cui nome rimanda al latino “splendente, luminosa”. La santa, vergine e martire, è ricordata il 13 dicembre e, secondo il martirologio romano, Lucia «custodì, finché visse, la lampada accesa per andare incontro allo Sposo e, a Siracusa, condotta alla morte per Cristo, meritò di accedere con lui alle nozze del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto» (santiebeati.it/dettaglio/25550). Non a caso troviamo il culto di santa Lucia diffuso nel percorso devozionale della processione della Madonna della Colletta di Luzzogno, di cui tratterò più avanti.

Anche l’albero di Natale che comunemente prepariamo nelle nostre case altro non è che un richiamo a questi riti di luce: originariamente preparato con candele (ora sostituito con luci elettriche, preferibilmente a led poiché più economiche) diventa il vero e proprio centro della ritualità natalizia, come un tempo fu il ciocco da mettere nel camino e far ardere tutta la notte.

 

Il simbolismo del falò solstiziale, in particolare nel periodo dell’Epifania è molto forte: si brucia, si elimina, la vegetazione vecchia e rinsecchita, rappresentata dalla fascina o dall’ultimo covone di grano, con il fuoco, che compie azione sì di eliminazione, ma anche di rigenerazione, poiché spesso il fuoco è utilizzato anche per ripulire i resti delle ripuliture. Il tutto in un rito di luce (la cui importanza è molto evidente e ne troviamo tracce anche nella tradizione, figlia della modernità, di accendere le luminarie natalizie), in cui il fantoccio sacrificato altro non è che un rafforzativo di questo potere eliminatorio e rigenerativo (cfr Baldini-Bellosi, 2012, pp. 47-64).