Classificare i falò? Si può fare!

Prosegue il viaggio tra i falò ossolani e l'antropologia culturale. Non sempre è infatti facile classificare e, soprattutto, correttamente interpretare i falò ossolani. Troppo spesso, infatti, si crede che siano semplicemente dei roghi dell'anno vecchio. In realtà il loro significato è molto più profondo.

 

Il significato dei fantocci e la loro interpretazione

Nella maggioranza dei falò della Bassa Ossola troviamo la presenza di un fantoccio che viene bruciato. Fantoccio, come visto, presente anche in numerosi altri fuochi rituali diffusi in Italia nello stesso periodo. La domanda che sorge spontanea è cosa in realtà significhino queste effigi (senza dubbio molto scenografiche). Una strega (e quindi il simbolo delle eresie)? L’anno vecchio? Il passato? La comunità?

Sono diverse le teorie che possono essere associate alla presenza o meno dei fantocci nei roghi. In particolare Ignazio Buttitta ha voluto trarne una classificazione molto interessante, che vede nei fantocci tre possibili significati, naturalmente ancestrali e che fanno riferimento a ritualità molto antiche (cfr Baldini - Belloli, 2012).

Nel primo caso si tratterebbe di vere e proprie vittime sacrificali, intese a nutrire la divinità e “rinsaldare” con essa la comunione necessaria alla vita della comunità stessa. In altre parole si tratterebbe, semplicemente, di effigi di antichi sacrifici alla divinità, necessari per la sopravvivenza della comunità stessa.

La seconda teoria vede i fantocci come vittime su cui si scaricano, simbolicamente, le colpe di cui si è macchiata l’intera comunità la quale, solo attraverso la loro distruzione otterrebbe la sua espiazione e potrà riaccostarsi, liberata dalla colpa, alle proprie divinità per poter affrontare un nuovo ciclo temporale.

Sempre secondo Buttitta esiste anche una terza via, ovvero quella dei fantocci come raffigurazioni di una divinità della vegetazione o la concretizzazione di un concetto astratto quale il ciclo dell’anno che deve periodicamente essere messo a morte, purificato con le fiamme per quindi “rinascere” (simbolicamente) ed acquistare nuovo vigore e garantire il ritorno alla vita.

Queste tre ipotesi, naturalmente, sono compatibili l’una con l’altra. Anzi, nel caso della Carcavegia di Premosello, ad esempio, sembra che convivano sia la seconda che la terza ipotesi: il vecchio e la vecchia bruciati sono sia i simboli delle colpe della comunità (che ha indicato la strada errata ai Re Magi), sia l’ipostasi del ciclo dell’anno.  

Purtroppo le teorie alla base di questi fuochi rituali ossolani sono troppo spesso semplicistiche e vedono i fantocci come la rappresentazione dell’anno vecchio che, in effetti, in qualche caso ed in qualche tradizione, viene bruciato. 

Per una breve tassonomia dei falò del Vco

Come vedremo, sono particolarmente diffusi i fuochi, solstiziali o meno, presenti nel territorio del Vco. Il volume non vuole però essere solamente un raccolto di dati etnografici e la descrizione dei fuochi analizzati, ma vuole tentare di dare un qualcosa in più al lettore, ovvero un’analisi etnologica (inteso alla Levi Strauss) dell’area del Vco, in particolare dell’Ossola.

Infatti la presenza di almeno cinque importanti fuochi, più o meno in concomitanza o a distanza di pochissimo tempo l’uno dall’altro (ovvero Premosello, Colloro, Piedimulera, Vogogna, Rumianca ed Anzola, tra l’altro in un’area di pochi chilometri quadrati, a cui si aggiunge quello di Crevoladossola), non possono essere casuali, ma bisogna far emergere analogie - ed eventuali differenze - tra questi falò.

Proporrei quindi, a livello introduttivo, una piccola tassonomia dei fuochi ossolani, suddividendoli innanzitutto per il periodo di accensione. 

La stragrande maggioranza dei falò analizzati viene accesa nel periodo a ridosso dell’Epifania, precisamente Premosello, Colloro, Piedimulera, Vogogna, Anzola, Crevoladossola e Rumianca.

Una seconda categoria di analisi potrebbe essere quella della presenza o meno di ciabra e rumori molesti. I succitati falò, con l’eccezione di Crevoladossola, hanno tutti uno scampanio fatto da un gruppo di giovani (prevalentemente maschi, ma anche qualche femmina si sta facendo largo nell’evento festivo), con campanacci da mucca attaccati alle pelvi a mo’ di cintura. A Crevoladossola, Vagna e Pontetto di Montecrestese la funzione di ciabra / chiamata a raccolta è svolta dalle campane della chiesa, o eventualmente dai fuochi di artificio, come nel caso del falò di san Brizio, o dallo scoppio di mortaretti.

La presenza o meno della questua di legna risulta essere un’usanza che progressivamente si sta perdendo, essendo l’edificazione e la preparazione del falò, oggi, affidata direttamente agli organizzatori dell’evento, che si occupano anche del reperimento del materiale. Fino alle ultime edizioni, il falò di san Giuseppe al Pontetto di Montecrestese ha mantenuto intatta la questua: nei giorni antecedenti il falò i bambini ed i ragazzi della frazione cercavano ed accatastavano fascine di legno dinnanzi al sagrato dell’oratorio.

L’aspetto forse più caratteristico e facilmente individuabile è la presenza o meno del fantoccio e, se vogliamo, del palo / albero che sostiene la pira, simbolicamente molto forte. La sua presenza è comune nell’ambito dei falò di inizio anno, con la sola eccezione di Crevoladossola (anche se, come dimostrerò nel capitolo, è probabile che l’usanza si sia progressivamente persa). 

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