La Carcavegia (parte I)

Il falò della Carcavegia di Premosello e Colloro

Il falò più antico e senza dubbio suggestivo è quello della Carcavegia di Premosello e di Colloro.

Sebbene la nascita di questo evento festivo venga fatta risalire ala notte dei tempi, a Premosello la continuità tradizionale è stata interrotta per diversi anni. La reinvenzione avvenne da parte di un gruppo di giovani, negli anni ’70, che decisero, dopo un periodo in cui veniva acceso solamente il fuoco di Colloro, di riproporre questa antica tradizione. Oggi il falò della Carcavegia di Premosello è uno degli eventi folklorici più importanti del paese: una festa in cui non solo la comunità ricostruisce la propria unità, ma anche un’occasione per far conoscere il proprio comune e le proprie tradizioni, ponendosi così sul “mercato” del turismo. 

Proprio sul discorso turistico va fatta una piccola premessa: come sottolinea Enrico Camanni, «L’ideologia “tradizionalista” […] è sfociata in tentativi di “museificazione” dell’ambiente alpino e della sua civiltà tradizionale a scopo conservativo e a beneficio turistico. Ne sono una prova i reiterati sforzi per far resuscitare i riti e i costumi del passato anche là dove tali recuperi appaiono evidenti forzature favorite dalle pro loco e dalle aziende di soggiorno per ricostruire una parvenza di identità storica.» (Camanni, 2002, p. 81). Il caso di Premosello, fortunatamente, è rimasto vivo e, per ora, immune alla musealizzazione: progressivamente si sta evolvendo rispondendo alle esigenze del tempo presente.

 

 

L’evento folklorico

L’evento folklorico ha il suo culmine la sera del 5 gennaio (Cfr Perrot, 2001, pp. 17-30; Lajoux 2005, pp. 85-92), con l’accensione del falò. L’evento, però, necessita di una lunga fase di preparazione, i cui attori sono i giovani adolescenti del paese. Si tratta di ragazzi maschi, di età compresa tra i 14 ed i 22 anni, che girano casa per casa per effettuare una questua della legna tra gli abitanti del paese. Gli oggetti della questua sono prevalentemente fascine di legna fine (ma in tempi passati venivano utilizzati anche residui alimentari, ad esempio le foglie secche del mais), che bruci velocemente, lasciate fuori dalle case per essere poi raccolte dal gruppo di ragazzi e portate nel luogo in cui erigere il fuoco. La durata media del falò, nelle varie edizioni, è di circa un’ora. Vengono anche utilizzati degli acceleranti, quali benzina, per permettere al rogo di ardere meglio ed essere più spettacolare. Occorre ora fare una piccola precisazione su ruolo ed età degli attori rituali, che non risultano essere della leve. Le testimonianze che ho raccolto negli anni si sono dimostrate discordanti: c’è chi sosteneva che a questo corteo partecipassero tanto individui di sesso maschile, quanto femminile, e chi, tesi che tendo a suffragare, che vi entrassero a far parte solamente maschi. Nelle edizioni 2006 e 2007, a cui ho assistito, il gruppo risultava composto esclusivamente da maschi, il che conferma le teorie sulla ritualità di passaggio e sull’esposizione dei propri attributi sessuali, rappresentati dal campanaccio. In edizioni più recenti, invece, il gruppo si è progressivamente ringiovanito ed hanno fatto il loro ingresso anche delle ragazze. 

Una seconda fase di preparazione, di cui non si occupa il gruppo di giovani, ma gli adulti del paese, è quella in cui si costruiscono i fantocci che devono ardere. Si tratta di pupazzi antropomorfi vestiti elegantemente, con uno scheletro di legno ed imbottiti con la paglia. Davanti a questi manichini, che a Premosello rappresentano un uomo ed una donna (a Colloro viene arso solamente il vecchio), vengono posti due cartelli indicanti nome, cognome e anno di nascita delle persone che questo simulacro deve rappresentare: i più vecchi della comunità. 

È interessante soffermarsi in questo caso sulla loro presenza all’evento rituale, al momento del rogo. Secondo alcune fonti bibliografiche,  «il protagonista che “cede” le sue fattezze al fantoccio che brucia sulla pira assiste al rogo e la sera precedente offre da bere ai ragazzi che raccolgono il materiale da ardere» (Chiello, 2006, p. 43). Le testimonianze raccolte differiscono da questa interpretazione: “le vittime” non assistono al rogo, perché troppo anziani e con difficoltà motorie. Forse, questa spiegazione squisitamente “fisica” ne nasconde una maggiormente “simbolica”: la comunità elimina ritualmente quegli elementi più anziani, che, comunque, già non prendevano parte alle riunioni collettive ed alle altre attività comunitarie. Non bisogna infatti dimenticare che, come sottolinea Buttitta, «qualsivoglia atto cerimoniale […] presenta, sia pure in misura diversa, una relazione con la dimensione sociale» (Buttitta, 2005, p. 272). Infatti, «luogo elettivo di manifestazione del tessuto relazionale è il piano cerimoniale. La festa e tutto ciò che ad essa afferisce coinvolge, seppur su piani e in gradi diversi, tutti gli individui della comunità. Li coinvolge, se non altro, nel segnare il loro grado di partecipazione alla vita comunitaria e la rispettabilità sociale» (Buttitta, 2005, p. 272).

Una volta preparato il falò, che un tempo ardeva nel centro del paese ed ora è stato spostato sul greto del fiume, per evidenti ragioni di sicurezza, si assiste ad una adunata della comunità.

Il ruolo di richiamo è affidato al gruppo di giovani, muniti di grossi campanacci da mucca attaccati all’altezza del bacino, detti “ciocc”, che scuotono rumorosamente, creando una sorta di scompiglio rituale nella quieta sera invernale. Questo rumore molesto, che può sotto alcuni aspetti ricordare il suono delle campane “a martello”, che serviva in passato come segnale di allarme nel paese, viene utilizzato per richiamare la gente nella piazza principale, per assistere all’accensione del falò. Accensione che avviene verso le nove di sera, e che viene segnalata dal triplice suono di un corno svuotato, uno degli attributi del “capo” del gruppo di giovani che accendono materialmente il fuoco sacro. 

In teoria i falò di Premosello e di Colloro, dovrebbero essere accesi contemporaneamente, ma in pratica esiste sempre una rivalità tra le due frazioni, ora riunite sotto il comune di Premosello Chiovenda, per chi allestisce la pira più bella. Ed i canoni di bellezza del falò sono abbastanza vari: c'è chi osserva la maestosità, chi la durata delle fiamme, chi la loro altezza…Rivalità che si concretizzano nello “scontro a distanza” tra i due gruppi di giovani. Le testimonianze che ho raccolto nella frazione capoluogo, raccontano di piccoli screzi tra le due comunità: quella di Colloro accendeva un falso falò, di dimensioni ridotte, per poi, quando quello di Premosello era in procinto di spegnersi completamente, accendere quello vero, che, sia per l’illusione prospettica, sia per il confronto con il fuoco ormai morente del fondovalle, risultava particolarmente vigoroso e gigantesco.

Il gruppo di giovani, durante la serata, effettua anche delle incursioni nei luoghi di assemblea pubblica, dove si raduna la popolazione. Queste incursioni creano disturbo nella comunità: i ragazzi “sbatacchiano” i loro campanacci spesso in faccia alle giovani ragazze, con chiari significati sessuali, che analizzeremo in seguito.

È interessante altresì notare che si tratta di una festività scollegata dalla sfera religiosa: non vi sono, infatti, funzioni liturgiche che ne scandiscono il tempo rituale, come in altri casi.

La Carcavegia, inserita in vari calendari di eventi (cfr Centini, 2012, pp. 64-65) è organizzata dalla Pro loco, in particolare da un gruppo di ragazzi che, nel corso degli anni, ha subito un progressivo ringiovanimento. Il delegare gli aspetti organizzativi della manifestazione ad enti quali la Pro loco ha portato, inevitabilmente, ad una sua commercializzazione, dovuta anche al nuovo afflusso di turisti, che però è riuscita a non perdere gli aspetti ritualistici e sociali, riuscendo a «tenere in vita questa usanza che richiama sempre molti spettatori anche dalle città vicine» (Chiello, 2006, p. 44).

 

La sera della Carcavegia, oltre ad essere una sera di forte aggregazione comunitaria, diviene anche la vetrina di Premosello e della valle, in cui presentare i propri cibi tradizionali, quali la torta di pane e il vin brulé, che si affiancano alle internazionali crepes e cioccolata calda, che vengono offerti, a fronte di un piccolo contributo, ai numerosi presenti, tra cui spiccano anche diversi turisti.  

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